PACE

Tralasciando per un attimo i fatti attuali, i conflitti sparsi per il Pianeta Terra, i governi, i mass media che confondono l’opinione pubblica, tentiamo di analizzare di seguito cosa significa la parola Pace, in 3000 anni di storia scritta cosa è cambiato o cosa potrebbe cambiare, cosa è necessario cambiare o nella sua “ingiustizia” ciò che accade, è forse “giusto”?

La definizione di giustizia è molto variabile nella storia, perché la percezione stessa di ciò che è giusto e sbagliato è tutt’altro che univoca o scontata.

Quella di pace, invece, è forse più facilmente ascrivibile come lo stato di assenza di conflitto (interiore, sociale, politico, ecc.).

Una riflessione interessante ci viene dall’etimologia di pace, come “ciò che tiene legato, unito, saldato”. Un legame forte e stabile, dunque, connesso al desiderio dello stesso.

Quando parliamo di pace, di giustizia, di inclusione, possiamo far riferimento a uno stato di armonia sociale, di incontro sereno e arricchente fra diversità.

Il senso di giustizia, intesa politicamente come garanzia dei diritti, è intimamente connesso con quello di dignità (già trattato nel primo capitolo nel libro HUMAN 4.0). Nel momento in cui questa è riconosciuta, quelli sono dovuti.

Nell’Antica Grecia, dove la cittadinanza era esclusa ad anziani, bambini, donne e schiavi, solo una piccola parte della popolazione era titolare di diritti (e doveri). Anche i meteci, gli stranieri “immigrati”, facevano parte degli esclusi. Questo non vuol dire che non ci fosse una condizione di armonia dentro la polis, ma i suoi criteri erano scelti da pochi per tutti.

Non a caso gli Antichi Greci di certo non possono entrare nel novero di una popolazione celebre per l’inclusione sociale. Accanto a questo però non va dimenticata la Xenìa, vale a dire il sacro dovere dell’accoglienza, che aveva una connotazione singola, non di massa.

La cosa cambiò radicalmente con Roma, la cui espansione fu sempre accompagnata da una progressiva diffusione della cittadinanza.

Proprio questa era la modalità romana per ordinare la società: includendo in modo sistematico e progressivo interi popoli tramite proprio lo strumento giuridico della cittadinanza. Diritti e doveri arrivavano insieme, chi trasgrediva pagava a caro prezzo…e giustizia era fatta.

Quando nell’11 a.C. l’imperatore Augusto proclama l’inizio della Pax Romana (che è in realtà il suo trionfo contro oppositori interni ed esterni), inaugura un lungo periodo durato quasi due secoli di relativa stabilità sociale e politica, sembrerebbe farsi chiara l’idea che non esiste pace senza una istituzione che sappia garantire la giustizia.

Il Tardo Antico e l’Alto Medioevo furono invece tutta una storia di inclusione, conflitti, conversioni e integrazioni di popoli. I primi arrivi dei “barbari” sono del 166 d.C., poi la tendenza proseguì ogni circa 100 anni fino alla caduta dell’Impero romano d’Occidente.

Ma quella europea è tutta una storia di guerre e accoglienze. Le ultime, importanti, sono le invasioni degli Ungari e dei Vichinghi e arrivano fino all’anno 1000. Il processo di inclusione e pacificazione è sempre stato connesso con la conversione di questi popoli al Cristianesimo (non a caso nei confronti dell’Islam la questione dell’integrazione fu in genere più complicata).

La fede comune in Europa fu motivo di discreta armonia sociale nei singoli regni, ma non anche fra questi. Nemmeno la presenza di due guide supreme come papa e imperatore del Sacro Romano impero fu sufficiente a ordinare il Vecchio Continente. Il Medioevo è comunque un’epoca dove l’armonia sociale veniva garantita dall’equilibrio delle diversità.

Ognuno sapeva chi e quale fosse il suo posto. Donne e uomini, nobili e popolo, clero e laici erano tutti chiaramente distinti e avevano la propria mansione e funzione nell’ordine sociale. La triade che riassume le categorie è Oratores Bellafores – Laboratores (clero-guerrieri-lavoratori).

A differenza di quanto siamo soliti credere, non sono i 1000 anni di Medioevo il periodo più bellicoso della nostra storia, ma i 500 anni successivi.

L’Età Moderna inizia con le Guerre di Religione a seguito della Riforma Luterana e termina con la Rivoluzione Francese e la dittatura napoleonica. L’Età Contemporanea resterà invece spaventosamente celebre per la nascita delle peggiori dittature della storia e per le due Guerre Mondiali.

Dal punto di vista istituzionale età moderna e contemporanea sono il tempo di nascita degli Stati Nazionali, la loro affermazione e il loro scontro.

La giustizia si concretizza all’interno di essi come la ricerca dell’uguaglianza, all’inizio solo astratta (tutti uguali di fronte alla legge), poi concretizzata come uguaglianza di classe (comunismo), di razza (nazismo) o di cultura (fascismo).

Di solito (e inevitabile) si attribuiscono a libertà e uguaglianza valori opposti: all’aumentare dell’una corrisponde la diminuzione dell’altra. Da qui si evince il problema fondamentale: giustizia è garantire uguaglianza o libertà?

Alla fine della Prima Guerra Mondiale i regimi liberali e democratici (Regno Unito, Francia e Italia) avevano avuto la meglio sugli imperi (Prussia, Austria-Ungheria, Russia). Il “trionfo della libertà” richiedeva ora di porre maggior attenzione all’uguaglianza. Così il Presidente americano Wilson, propose 14 Punti per realizzare la pace in Europa.

Il principio fondamentale era quello della nazionalità, dell’autodeterminazione dei popoli (il diritto di una nazione di costituirsi in Stato, in ragione della propria identità). L’uguaglianza divenne il principio fondante pace, giustizia e armonia sociale.

Da nazione a nazionalismo e da questo a razzismo il passaggio è facile. Il problema non era solo per Germania e Italia: anche Regno Unito e Francia erano paesi sostanzialmente nazionalisti e razzisti, come tutti i paesi colonialisti d’altronde.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu nuovamente il turno della libertà. Il modello USA (liberale, capitalista e individualista) si impose in tutto l’Occidente, facendo proprio il paradosso della tolleranza: si può tollerare tutto, tranne gli intolleranti.

Il crollo dell’URSS ha segnato la fine del “mondo dell’uguaglianza reale”, anche se il tema è tutt’altro che scomparso. La questione della giustizia è ancora tutta aperta. Un autore che ha provato a rispondervi è J. Rawls con la sua “Teoria della giustizia”, che tenta di limitare l’impulso utilitarista, ma non esce da un impianto sostanzialmente liberale.

Lo scopo della società è garantire la giustizia. Per garantire la giustizia bisogna combattere ogni discriminazione. Lo scopo della società è sradicare il motivo stesso della discriminazione.

Una società giusta è inclusiva, non guarda in faccia a nessuno, non fa distinzioni.

Non c’è pace senza giustizia, non c’è pace senza inclusione, non c’è pace senza uguaglianza”.

La libertà è la caratteristica fondamentale dell’essere umano. Nasciamo tutti liberi. In un mondo giusto tutti dovrebbero essere liberi. Non ci dovrebbero essere schiavitù di alcun genere.

Non permettere a tutti di autodeterminarsi è ingiusto. Non bisogna costringere nessuno, mai, a qualcosa che non vuole. L’oppressione è sinonimo di ingiustizia.

Lo scopo della società è garantire la libertà. Per garantire la libertà bisogna combattere ogni tipo di oppressione. Lo scopo della società è sradicare il motivo stesso dell’oppressione.

Libertà e uguaglianza sono due valori astratti. Sono difficili da comprendere e ancora di più da spiegare.

Si tratta di concetti di cui non troviamo concreta evidenza, non a caso le interpretazioni di entrambi sono le più varie.

Il punto è che dei tre valori della Rivoluzione Francese, l’unico reale, concreto, tangibile, è proprio quello dimenticato: la fraternità.

Libertà e uguaglianza non esistono. Sono idee. L’altro elemento esiste. Il fratello, la sorella ci sono veramente e non sono né uguali a noi né possiamo dirci liberi (svincolati) gli uni rispetto agli altri.

L’umanità non è un agglomerato di palline dove la libertà di una finisce dove inizia quella dell’altra, né un grande meccanismo dove ognuno è un ingranaggio uguale a ciascun’altro.

L’umanità è un insieme di persone, tutte differenti e tutte legate, interconnesse. Ciascuno esiste perché ci sono degli altri. Viviamo grazie al nostro prossimo e per il nostro prossimo.

La società è come un mosaico, in cui ogni tessera è completa in sé stessa ma trova il proprio senso nello stare accanto alle altre.

Ciascuno, unico e irripetibile, contribuisce in maniera insostituibile a realizzare un’opera d’arte complessiva.

I principi che possono illuminare questa metafora e dargli sostanza sono la sussidiarietà e la solidarietà.

La prima è il sostegno (il sussidio, l’aiuto) che ogni tessera deve avere per poter stare al proprio posto; la seconda è il legame (solido, che non si scioglie) che ciascuno ha con chi si trova al proprio fianco.

La prima dice che esistono livelli diversi, funzioni diverse, responsabilità diverse. La seconda che nessuno ce la può fare da solo e che abbiamo una destinazione comune.